Amicizie Femminili. Tra Storia, Battaglie e Social Media

Recentemente mi è capitato di poter finalmente rimettere piede in un museo. Nello specifico la scorsa settimana mi sono recata al Museo delle Donne di Merano (QUI il sito per tutte le info).

Logo del Museo delle Donne di Merano

Dal 01 marzo 2021 al 31 ottobre 2021 sarà possibile ammirare una splendida ed interessante mostra temporanea intitolata “Amicizie femminili. Dallo scambio emozionale alla rete relazionale” (QUI il video di presentazione). Mostra che è stata portata da Bonn grazie ad un’idea di Bettina Bab e l’International Association of Women’s Museum e che sottolinea come nei secoli i rapporti amicali tra donne tra lettere, salotti e circoli letterari abbiano portato a cambiamenti culturali e sociali determinanti. Lo scambio di opinioni tra donne con un rapporto di amicizia e quindi di fiducia, le ha condotte a superare i ruoli tradizionali imposti dalla società. Troviamo la scintilla in una rete relazionale che comincia con donne single o vedove che trovano nelle amicizie dello stesso sesso forza per farcela da sole e realizzare quindi i loro piani con amiche sulla loro stessa lunghezza d’onda. Forza che serviva per affrontare difficoltà legali o le resistenze dei familiari.

Da piccole rivoluzioni possono avvenire grandi cambiamenti, ne è esempio come dallo scambio di lettere tra amiche si è arrivati ad organizzare il Congresso Internazionale per la Pace delle Donne a Den Haag nel 1915 a cui parteciparono donne di entrambe le parti in guerra. Così come non avremmo mai avuto l’Associazione Internazionale del Suffragio Femminile.

La mostra al Museo delle Donne di Merano colpisce per l’intensità con cui arriva il messaggio di queste donne del passato che grazie all’amicizia e la collaborazione sono riuscite a cambiare molti degli aspetti sociali e culturali legati al ruolo della donna. Camminare tra quelle vele che mostrano nomi, immagini e lettere (ritenute intime da chi le ha scritte, ma che ora sono un caposaldo del movimento femminista), mi ha scatenato un insieme di emozioni travolgenti. È stato incredibile leggere le parole di un passato che è prepotentemente moderno e attuale. Certo le dinamiche sono differenti, ma alla base il concetto è sempre lo stesso: la ricerca di realizzarsi ed essere trattate in modo paritario. Non nego di essermi commossa davanti alla storia di alcune di queste donne, come ad esempio quella di Helene Lange e Gertrud Bäumer. Helene era una pedagogista autodidatta che riformò il sistema educativo femminile. Dopo aver cominciato insegnando a Berlino nel 1876 si accorse di come questa professione fosse gravata da limiti e pregiudizi. Questo la avvicinò al movimento femminista e assieme ad August Schmidt nel 1890 convocò una delle prime assemblee di insegnanti donne. Fondando l’Associazione Generale delle Insegnanti Tedesche protestarono con il fine di ottenere una formazione professionale migliore così come misero le basi per un cambiamento nell’istruzione femminile. Quando Helene viene colpita da una malattia agli occhi assume una giovane segretaria, Gertrud appunto, che con il suo entusiasmo riportò la voglia di fare ad Helene. Gertrud succederà Helene nella presidenza del Concilio delle Organizzazioni femminili tedesche e viene coinvolta anche nel progetto editoriale Die Frau.

Insomma, una relazione che dimostra la potenza dell’alleanza femminile, così come le incorreggibili Elsie Knocker e Mairi Chisholm, due amiche di origine britannica che durante la Prima Guerra Mondiale allestirono un’infermeria nel bel mezzo del fronte per offrire i primi soccorsi ai soldati prima di essere trasportati agli ospedali da campo. Facevano parte del corpo volontario di Pronto Soccorso e Mairi dovette scappare di casa perché com’era immaginabile la sua famiglia disapprovava le sue scelte. Particolare divertente: entrambe appassionate di moto, partirono con le loro due ruote dalla stazione Vittoria per le Fiandre indossando pantaloni che scandalizzarono i presenti. Come detto allestirono un’infermeria sotto i bombardamenti e fecero tutto autofinanziandosi cercando fondi. Sono ricordate tra le donne più coraggiose della Grande Guerra.

Ritengo che questa mostra sia molto arricchente a livello culturale, ma anche emotivo e ci fa scoprire la potenza dell’amicizia.

Ma cos’è l’amicizia?

Sotto l’aspetto sociologico si intende un rapporto esclusivo tra due persone o un gruppo ristretto, che si frequenta e condivide interessi. Un legame importante che nasce da subito tra i bambini che condividono i giochi, le lezioni a scuola e che procede nell’adolescenza diventando un punto di riferimento tale da sostituirsi alle figure genitoriali.

Indagare i meccanismi di costruzione dei confini dell’amicizia, capire quali persone ed in quali circostanze vengono incluse in una rete amicale significa chiarire il modo in cui i legami forti si differenziano da quelli deboli nell’esperienza dei soggetti

Possono esserci differenze tra uomini e donne nelle relazioni amicali?

Alcuni studi sociologici e antropologici sostengono di sì. In particolare, lo svantaggio sociale femminile sembra derivare originariamente da reti meno ampie e differenziate rispetto a quelle maschili. Nello specifico sembra che le donne tendano ad avere pochi legami deboli che sono utili nella ricerca di lavoro, ad esempio, e nelle strategie di carriera; altro esempio è la carenza di amicizie maschili che per ovvi motivi strutturali della società potrebbero ampliare il ventaglio di posizioni lavorative. In sostanza le amicizie femminili sembrano essere limitate all’ambito domestico e di cura, al contrario di quelle maschili più legato all’ambiente esterno. Questo non può che portare ad una disparità di possibilità lavorative, infatti la tendenza è quella che i lavori femminili siano a bassa qualificazione (Hanson e Pratt, 1991).

Bisogna quindi soffermarsi ad indagare le diverse modalità di costruzione degli spazi sociali personali degli uomini e delle donne, in particolare capire come e quanto ha influito nei secoli il le differenze delle relazioni sociali e la derivante costruzione di relazioni interpersonali di riconoscimento abbiano influito sul capitale sociale femminile.

Uno studio ha rilevato che prendendo come campione di osservazione giovani uomini e donne che frequentano l’università, queste differenze sono meno evidenti, innanzitutto perché l’influenza del ruolo domestico è meno presente: la routine si svolge in ambiti molto simili e con lo stesso tipo di vincoli. Dobbiamo poi tenere conto della valenza culturale: con una maggiore istruzione i modelli di genere tradizionali sono meno forti e avvenendo in una fase di sviluppo in cui si passa da strascichi adolescenziali ad adulti l’accrescimento esperienziale e culturale permettono di consolidare l’identità di genere.

Cosa vuol dire tutto questo?

Se andiamo a vedere ciò che ho riportato riguardo le donne descritte e rappresentate nella Mostra al Museo delle Donne di Merano, coloro che hanno dato il via a relazioni amicali che hanno portato a grandi cambiamenti erano donne di un certo ceto sociale e con un’istruzioni sicuramente sopra la media rispetto alla maggior parte del genere femminile. Ecco quindi dimostrato come la cultura, l’istruzione e la possibilità di confronto siano fondamentali per avviare una rete amicale costruttiva, ed ecco perché ciò che il movimento femminista ha compiuto negli anni, rivoluzionando tra le altre cose anche il sistema scolastico femminile, sia stato indispensabile per avviare il processo di cambiamento che ha portato il raggiungimento di diversi traguardi per le donne.

Di lavoro e cambiamenti ce ne sono ancora molti da fare, ma come dico sempre prendendo esempio dalle grandi donne del passato non possiamo che imparare. E imparare vuol dire anche osservare i avvenimenti che ci circondano. Mentre mi trovavo a leggere le vite delle fantastiche donne raccontate nella mostra, ho trovato tantissime similitudini con quello che talvolta succede tra i social. Sì perché se agli albori di questi fenomeni c’erano le lettere, oggi gli strumenti che accomunano, raggiungono e portano al confronto sono i social media.  Non si può non tenere conto della potenza della gittata di piattaforme come Instagram, Facebook e YouTube. Perfino io nel mio piccolo sono qui a ad esprimere pensieri che potrebbero portare a riflettere molte persone grazie al fatto che ho una mia community che mi segue. Ed è grazie ai social che ho avuto e ho ancora l’opportunità di confrontarmi e collaborare con donne e uomini che di persona non avrei mai potuto incontrare.

Solo l’idea di poter commentare l’intervista dell’anno di Harry e Meghan da Ophra con un’esperta Royal del calibro di Marina Minelli ( @Marina_Minelli_) mi fa ancora girare la testa; così come organizzare aperitivi in cui parlare dei miei amati Tudors con una persona che riesce a terminare le mie frasi senza aver preparato la minima scaletta (sì, sto parlando di te Elisa Morini @LaSpettinata).

Non dimentichiamo poi battaglie come la “Tampon Tax”, il “Revenge Porn” e le discriminazioni di genere (non ultima quella per Aurora Leone dei “The Jackal”) che grazie ai social hanno permesso a molte donne di far sentire la loro voce e avere la possibilità di avere il sostegno di molte persone, anche impensate. Certo insieme al sostegno a volte arrivano anche critiche, ma fa tutto parte del pacchetto del confronto e del cambiamento: sappiamo molto bene cosa hanno dovuto affrontare le nostre antenate per ottenere ciò che abbiamo oggi. Quindi, quando ci sentiamo demoralizzate e frustrate, ripensiamo a loro e leggiamo il più possibile sull’argomento.

Insomma, il mio invito (oltre a far visita al Museo delle Donne di Merano e se non vi è possibile visitate questo sito) è quello di continuare ad informarci e confrontarci. La consapevolezza ci permette di guardarci allo specchio e riconoscere ciò che siamo e ciò che meritiamo, imparando a rispettarci. E se rispettiamo noi stessi non permetteremo a nessuno di non farlo altrettanto.

Francesca

Bibliografia:

https://journals.openedition.org/qds/1343?lang=en

https://www.treccani.it/vocabolario/amicizia/

“Il completino te lo metti in tribuna!”

Caro direttore generale della nazionale cantanti, sa dove glielo metterei io il completino?

A volte è davvero frustrante fare la “femminista consapevole”, come amo definirmi, senza alzare i toni e dar sfogo alla rabbia.

Poi però capisco che la rabbia rende irrazionali e l’irrazionalità non porta a grandi risultati se non a violenza su violenza.

immagine presa dal profilo IG di @avvocathy

Perché di questo stiamo parlando: Aurora Leone, attrice componente dei “The Jackal” ha subìto una violenza. Nei video che troviamo sul suo profilo Instagram la possiamo vedere agitata, scioccata e ammette di essersi sentita in imbarazzo.

Per chi ancora non lo sapesse, ieri sera, alla vigilia della giornata programmata per l’evento annuale de “La Partita del CUORE” in cui la Nazionale Cantanti avrebbe sfidato i Campioni per la Ricerca in una partita di beneficenza a favore della Fondazione Piemontese per la Ricerca sul Cancro (a questo proposito donate allo 45527), Aurora e Ciro (Priello) convocati per partecipare alla partita come giocatori si siedono a cena chiacchierando con alcuni cantanti. Ad un certo punto il direttore generale, Gianluca Pecchini, ha esortato Aurora ad alzarsi e a sedersi ad un altro tavolo, il tutto perché donna. Sì, perché nel momento che Ciro si è alzato per spostarsi con lei, gli è stato detto che lui poteva rimanere. Al che i due hanno pensato ad un malinteso e hanno specificato che Aurora non era l’accompagnatrice di Ciro e che era stata convocata anche lei con tanto di mai che lo provavano visto che le avevano chiesto anche la taglia per la divisa. Ed ecco arrivare la risposta del direttore che mi ha infervorata: “Il completino te lo metti in tribuna se vuoi, le donne non giocano! Queste sono le nostre regole!”

Avete capito ora l’incipit di questo mio post?

In un mondo dove assistiamo a guerre, pandemie, disoccupazione violenze e omicidi dove molto spesso le donne sono le prime vittime, possiamo pensare che una notizia del genere sia nulla a confronto. E invece no. I messaggi subliminali (neanche tanto in questo caso) sono violenti tanto quanto una rissa. Le parole pesano come macigni. Quello che è stato detto ad Aurora equivale ad un pugno in faccia a tutto quello per cui le donne si stanno battendo da anni, anzi no, SECOLI.

Ci rendiamo conto di quello che quotidianamente molte ragazzine devono subire nei campi da calcio (come nel rugby, nel basket, e in tutti quegli sport considerati “da maschio”)?

Io ho un figlio di 11 anni che da 2 gioca in squadra con una bambina (fino ad una certa età o categoria le squadre possono essere miste) e se c’è una cosa su cui ho sempre insistito è stato insegnargli di portarle rispetto come per qualsiasi altro componente della squadra. Attenzione: io gli ho insegnato che non doveva trattarla MEGLIO ma semplicemente UGUALE agli altri.

Perché è questo il fondamento del mio femminismo consapevole: io non pretendo che le donne siano privilegiate, io vorrei, e mi batto per questo, che fossimo trattate alla pari.

Se nel maggio del 2021 devo stare ancora a sentire il direttore generale di un evento di beneficenza, ripeto di BENEFICENZA, che dice ad una ragazza (tra l’altro che più volte ha dimostrato di amare il calcio e di capirne anche più di alcuni uomini) che le donne non possono giocare a calcio e che se vuole il completino (divisa) se la può mettere guardando la partita dalle tribune, allora vuol dire i toni pacati non bastano più.

È inutile che io allora mi arrabbi se associazioni ludiche per bambini organizzino pomeriggi “Calciatori e Veline” in cui per le bimbe ci sono attività a tema “salone di bellezza” e per i bimbi “tutto calcio” con tanto di dicitura: per le bimbe salone di bellezza, trucco, parrucco e manicure… una serata all’insegna del rosa! Per i maschietti sport, sport, sport! Belli, sudati e felici!”

Ci rendiamo conto che queste iniziative sono altamente discriminanti? E ci rendiamo conto che quello che il direttore generale Gianluca Pecchini ha fatto è la stessa cosa?

Con il suo gesto, la sua violenza nei confronti di Aurora Leone ha messo in un angolo tutte quelle bambine che amano giocare a calcio, fare sport ed essere belle e sudate come i “maschietti”.

Ma come dice un famoso film: NESSUNO PUO’ METTERE BABY IN UN ANGOLO!

E quindi, mia cara Italia, tira fuori il Patrick Swayze che è in te e questo direttore e tutti i suoi simili facciamoli stare zitti e buoni (citazione non a caso che fa riferimento ad accuse date per altri stereotipi che dovrebbero ormai essere superati… ed ecco quindi il motivo della maglia della nazionale francese)

Immagine presa dal profilo IG de “Il Corriere della Sera”

Lady Fra’

Tampon Tax. Le Donne, il ciclo mestruale nei secoli e il concetto di “bene di lusso”

Sono passati mesi da quando la Scozia, la mia amata Scozia, ha segnato l’inizio di un cambiamento che noi donne aspettavamo da anni: la riduzione dell’IVA sui prodotti sanitari ed igienici femminili. Una battaglia che sembra non avere ancora fine perché malgrado l’esempio della maggior parte dei paesi europei come Spagna, Francia, Regno Unito, Belgio, Olanda, Irlanda e per ultima anche la Germania, l’Italia sembra (come al solito) rimanere indietro. Giusto per darci un contentino hanno abbassato l’IVA, solitamente al 22%, al 4% durante la settimana della festa della Donna e secondo molti avremmo dovuto anche ringraziare. A mio parere è stata solo una grande presa in giro. Ci rendiamo conto che occupiamo la 23° posto tra i 28 stati appartenenti all’Unione Europea?

Un piccolo spiraglio sembra arrivare da Firenze. Già culla del rinascimento, il capoluogo toscano sembra voler essere nuovamente un faro per tutta la penisola: è infatti la prima città a non far pagare più la “tampon tax”, ma c’è l’esigenza di avere una risposta rapida e chiara dal Governo che dirotta le risorse a causa dell’emergenza COVID. Fino al 31 marzo 2022 quindi nelle farmacie fiorentine gli assorbenti non avranno più applicata l’IVA al 22%.

“L’eco che stiamo ricevendo è di gran lunga maggiore a quello che ci aspettavamo. È la dimostrazione che l’abolizione della tampon tax non è solo un diritto delle donne, ma un principio di equità sociale” queste le parole di Dario Nardella, sindaco della città fiorentina.

Il problema sembra legato al fatto che gli assorbenti e tutti i dispositivi sanitari ed igienici per le donne vengono considerati un bene di lusso. Facciamo chiarezza, Wikipedia offre questa definizione di bene di lusso:

“Il bene di lusso si riferisce a un bene di consumo superfluo e che rappresenta una spesa eccessiva rispetto alle possibilità economiche di qualcuno. I beni di lusso sono spesso oggetto di ammirazione e desiderio e il loro valore di scambio è molto elevato”. Praticamente allo stesso livello di orologi, auto, borse e scarpe griffate.

  1. Gli assorbenti non sono un lusso ma una necessità
  2. Gli assorbenti non sono un bene superfluo
  3. Non penso siano oggetto di ammirazione (anzi) e men che meno hanno un valore di scambio

Ed è qui che subentra l’aggancio che voglio fare a questo tema. Forse capire come siano nati gli assorbenti e come affrontassero il ciclo mestruale le donne nella storia, offrirà una nuova prospettiva a chi afferma che si debba imporre su questi dispositivi igienici una tassa di lusso.

Gli assorbenti a cui siamo abituati, quelli usa-e-getta pubblicizzati in televisione, radio, e giornali sono un’invenzione recente, risale infatti alla fine del IX secolo perfezionata poi nel secolo successivo, ma come affrontavano le donne il flusso mestruale nei secoli precedenti? Quali tabù erano legati alle mestruazioni?

Questa cosa mi ha incuriosito quando ho letto il libro “La grande avventura dei diritti delle donne” di Soledad Bravi e Dorothée Werner in cui, attraverso vignette tanto divertenti quanto graffianti, hanno mostrato la realtà femminile dalla preistoria ad oggi. In particolare sono rimasta colpita del capitolo dedicato alla Caccia alle Streghe in cui si sottolinea come le mestruazioni considerate fino a quel momento (XV secolo circa) segno di fecondità, diventano invece la prova della maledizione divina arrivando a supporre che le donne che soffrivano di un ciclo doloroso fossero possedute dal demonio, accusate di stregoneria vengono esiliate o mandate al rogo. Si contano circa 100 mila vittime. Cosa porta tutto questo? A dover nascondere il più possibile la perdita di sangue.

Davvero interessante scoprire quali fossero le tecniche utilizzate.

Considerato che per secoli non esisteva nulla di simile alle mutande a cui poter agganciare gli assorbenti esterni, all’alba dei tempi le donne utilizzavano una forma arcaica del tampone interno con i più svariati materiali: in Egitto usavano il papiro ammorbidito o il lino. A Sparta e Atene si erano ingegniate avvolgendo delle garze attorno a piccoli pezzi di legno per favorire l’inserimento.

Con l’Impero Romano si cominciano ad usare bende di lana agganciate alle cinture delle vesti.

Il Medioevo e il successivo periodo di caccia alle streghe e Inquisizione come detto ha segnato l’inizio del tabù sulle mestruazioni e questi giorni venivano affrontati in gran segreto. Le popolane si adeguavano ancora con i metodi antichi, mentre le donne di ceto elevato avevano cominciato ad utilizzare sotto le vesti delle culotte o dei pantaloncini che servivano a contenere l’assorbente di cotone oppure di un particolare tipo di muschio da una forte azione assorbente utile soprattutto in caso di emorragie.

Particolarità: il ciclo mestruale era diverso rispetto a quello a cui siamo abituate oggi. Era irregolare e si presentava sporadicamente, questo a causa di alimentazioni povere, e condizioni di vita difficili. Inoltre, in età fertile le donne affrontavano una gravidanza dietro l’altra e la menopausa arrivava molto presto.

Altra particolarità interessante è quella che il colore predominante nel guardaroba femminile era il rosso, questo perché permetteva di mimetizzare le eventuali macchie di sangue mestruale.

Il Rinascimento ha mantenuto il tabù verso le mestruazioni e le donne si sono inventate di tutto per far sì che il flusso non macchiasse: pezzi di cotone, lana, spugne, muschi e pelli animali. Se teniamo presente poi che nel XVII secolo è cominciata a girare la credenza che lavare la biancheria portasse malattia, possiamo immaginare quanto fastidiosi potessero diventare gli odori corporei. E quindi via di profumi a litri!

Come detto gli assorbenti “moderni” sono nati alla fine del XIX secolo, ma non hanno avuto subito successo: le donne si vergognavano a comprarli continuando così ad utilizzare quelli lavabili che tenevano legati con spille da balia o cordini e lavandoli e rilavandoli.

Ci è voluta la Prima Guerra Mondiale e le infermiere per cambiare il materiale assorbente, si scopre infatti il Cellucotton utilizzato negli ospedali da campo per bloccare le emorragie.

I ruggenti anni ’20 ci portano il KOTEX, un materiale più conveniente rispetto al Cellucotton, ma soprattutto l’idea delle case produttrici di esporre gli assorbenti negli scaffali, senza per forza doverli richiedere ai commessi per la maggior parte uomini. È la svolta. Insieme alla diffusione di biancheria intima sempre più sgambata che permette all’assorbente di rimanere più facilmente in posizione negli anni ’70 arriva in aiuto anche la striscia adesiva.

Se però ancora molte donne rimanevano scettiche sul concetto di usa-e-getta in quanto sembrava uno spreco di denaro, i cambiamenti sociali che hanno portato le donne ad uscire di più di casa, a lavorare e fare esercizio fisico ha agevolato la vendita di questi nuovi prodotti che non portavano via tempo impiegato in altro.

Dopo questa serie di curiosità sulla storia di come le donne hanno affrontato il loro ciclo mestruale nei secoli, davvero si può ancora pensare che un assorbente sia un bene di lusso da pagare con l’IVA al 22%?

Beh, chi non afferma il contrario meriterebbe di camminare una settimana con un legnetto avvolto da una garza nel…

Lascio finire a voi!

Lady F.

Il Bacio della Discordia

Ebbene sì, anche io voglio dire la mia sul caso della settimana: il bacio non consensuale del Principe Azzurro a Biancaneve.

In questi giorni si è letto di tutto suddividendo l’opinione pubblica in estremisti del politicamente corretto e indignati che pensano che al mondo ci siano problemi più gravi.

Preciso subito che il mio intento è quello di portare contenuti che possano far ragionare entrambe le fazioni e sì, ci sono problemi enormi in questa nostra società, ma da pedagogista, madre e femminista consapevole, non posso permettere che il mondo rimanga così com’è: ignorante e manovrato. Ho sempre dichiarato che nel mio piccolo voglio contribuire al cambiamento e lo farò con le armi di cui dispongo: i miei studi e la mia esperienza.

Cominciamo dal principio.

C’era una volta il bambino visto come un uomo in miniatura da accudire solo per assicurarsi forza lavoro nei campi e nelle guerre. Un giorno del XVIII secolo, grazie alla svolta data dall’Illuminismo, tutto questo cambia. Ci metterà del tempo, ma il mondo comincerà a vedere l’infanzia come una dimensione con caratteristiche specifiche. Nasce la pedagogia e con la psicologia anche un ramo dedicato ai primi anni di vita (psicologia dello sviluppo).

Ovviamente come per tutte le novità anche questi campi di ricerca hanno dovuto sperimentare, e a dirla tutta ancora si sperimenta parecchio, questo perché come accompagnare i bambini e le bambine nel loro sviluppo può essere considerato uno specchio dell’ideologia sociale. Il mondo cambia, le idee cambiano, le tecnologie avanzano; di conseguenza standardizzare un modello educativo/formativo e pensare di non farlo evolvere è il più grande errore che l’umanità possa fare. Si può rimanere fedeli ad un’idea, ad un approccio; ma gli strumenti, le modalità e i linguaggi devono seguire il flusso dei naturali cambiamenti antropologico-culturali.

Ecco quindi uno dei punti cardini del mio pensiero.

È giusto condannare e cambiare le favole classiche?

Durante il mio percorso universitario, ho frequentato l’interessantissimo corso di “Letteratura per l’Infanzia” e ricordo molto bene ciò che la professoressa un giorno disse in aula: “Le favole nascono con uno scopo preciso: narrare e formare in unum. La valenza pedagogica della narrativa non è da sottovalutare e nel farne una lettura critica bisogna tenere sempre presente questo aspetto duale che potenzia il significato ma che ne esalti anche la struttura!” In parole povere: se una fiaba è stata scritta in modo, questa aveva il suo motivo e il suo scopo. Non si può cambiare la struttura di una fiaba perché automaticamente si cambia anche il suo significato. Un esempio? Per quanto brutale (e io amo follemente gli animali) è necessario che il lupo muoia alla fine di Cappuccetto Rosso perché la favola in sé racchiude ben cinque insegnamenti: non fidarsi degli sconosciuti, non condividere informazioni personali, ascoltare le raccomandazioni dei genitori, non abbassare mai la guardia anche con persone che apparentemente si conoscono e in ultimo rivolgersi al cacciatore, le forze dell’ordine, in caso di bisogno. Perché è importante che il lupo muoia alla fine della storia? Perché rappresenta il “male” ed il male va eliminato, anche se ha le sembianze di un lupo come essere vivente che rischia l’estinzione, perché il male può avere mille volti, anche quelli di un tenero orsacchiotto rosa (vedasi la Disney come ha trasmesso questo messaggio con il personaggio di Lotso in Toy Story 3). Quindi se si decide di raccontare la favola di Cappuccetto Rosso per far sì che il significato (morale) arrivi, la struttura deve rimanere integra e soprattutto chiara. Provate a costruire un castello con le carte, alla base però cambiate una carta con un legnetto: il castello crollerà perché un elemento non era fatto per quella struttura.

Questo non vuol dire che non si possano leggere storie in cui i lupi sono buoni, divertenti e magari aiutano il protagonista di turno, tutto sta nel rendere chiaro lo scopo che la fiaba ha con i suoi personaggi. È un’arma pericolosissima questa perché, come la storia ci insegna, chiunque può strumentalizzare le fiabe (o le notizie) identificando una tipologia di soggetti come il “male”. Ecco allora che durante il Nazismo erano gli ebrei, durante la guerra fredda i comunisti, dopo l’11 settembre i musulmani e ora, con il COVID, i cinesi.

Scrivo questo per cercare di far ragionare quel ramo di persone che addita le fiabe classiche come cruenti, sessiste e classiste. Beh, sono proprio così! Ovviamente lo sono anche i cartoni animati Disney che riprendono quelle favole.

È giusto far passare questo messaggio ai bambini? Certo che no. Ma fermiamoci un attimo a pensare: è giusto insegnare che Giulio Cesare per le sue idee è stato accoltellato? Che un ideale importante come quello dietro alla Rivoluzione francese sia macchiato dalla decapitazione di molte persone? Che le donne ateniesi non contavano nulla e dovevano stare sempre tra le quattro mura di casa?

Anche in questo caso la risposta è un sonoro NO.

Come fare allora? La soluzione sta in una parola: contestualizzare. Proprio così. Da pedagogista vi posso assicurare che lo si può fare con bambini e bambine di qualsiasi età. Se è la prima volta che proponete un film, cartone, libro, che può avere contenuti con ideologie, diciamo così “classiche”, allora non lasciate da soli i vostri figli, stategli accanto e spiegate (non saltate!) i passaggi che possono essere ritenuti superati.

(Quando sottolineo di non saltare le scene ovviamente do per scontato che la scelta sia ricaduta su qualcosa adatta all’età del bambino)

Ma torniamo al Bacio della Discordia

Tutto è nato perché due giornaliste del SF Gate, testata online di San Francisco, hanno scritto una recensione sull’attrazione dedicata a Biancaneve di Disneyland. Essendo tra le più antiche, durante il periodo di chiusura forzata del parco è stata aggiornata. La giostra terminava con la morte cruenta della regina/strega e questo è sempre stato fonte di critiche, così nella nuova versione a fin giro si può ammirare la scena iconica del bacio tra Biancaneve e il Principe. Le due giornaliste affermano che a loro parere offrire l’immagine di un contatto intimo senza consenso sia comunque traumatico e diseducativo per i bambini.

Ora, qui non voglio discutere l’opinione di queste due giornaliste, quello che mi fa arrabbiare è come l’opinione pubblica alteri qualsiasi cosa minacciando il mondo della presenza di quella che viene chiamata “DITTATURA DEL POLITICAMENTE CORRETTO”. Polveroni alzati per episodi spesso travisati diventano un caso da diffondere nel dibattito pubblico; i giornali sparano tronfi titoli che portano inevitabilmente all’indignazione, dividendo la popolazione tra i “Ma che idiozie, c’è di peggio!”, i “Non si può proprio più dire niente?” e i “Facciamo valere i nostri diritti!”. Per poi arrivare ad un nulla di fatto concreto se non l’ennesima conferma di una diramante cultura pressapochista.

Alcuni esempi di come i media italiani hanno trattato l’argomento

Il simbolismo dietro alla storia di Biancaneve è molteplice (ricordate il discorso significato/struttura) ed è ovviamente del suo tempo, in cui vigeva ancora una cultura per cui la donna è tale solo se materna e grata agli uomini. Biancaneve, come altre sue “colleghe”, è rinchiusa in una fiaba tradizionale con ideologie culturali palesemente inapplicabili nel 2021. Non è del bacio del Principe che ha bisogno, ma di libri, educazione emozionale e sessuale.

Vorrei portare l’esempio di un’artista che ha creato una serie di spiritose vignette. In modo arguto mostrano quanto le caratteristiche delle protagoniste femminili delle fiabe classiche possano essere considerate oggi da psicoanalisi. Ecco allora subentrare la dottoressa Pink Giraffe di Guadascribbles, artista venezuelana, che sottopone le principesse ad una seduta di psicoterapia mettendo a nudo le debolezze e i lati “negativi” di ogni storia (con gli occhi e le ideologie attuali), offrendo spunti di riflessione.

Sì, perché, se vogliamo “distruggere” le fiabe, allora facciamolo per bene. Oltre al bacio non consensuale vogliamo parlare della superficialità del concetto d’amore?

Prendiamo Cenerentola: balla con il principe (mai incontrato prima) per una notte, si innamorano follemente senza nemmeno sapere i loro nomi, lei ha il coprifuoco a mezzanotte e quindi lo deve abbandonare, l’unico indizio che il principe ha per ritrovare la sua bella è la scarpa che lei perde correndo e cosa fa? Mica va lui a cercarla, eh no, lui se ne sta comodo nel castello ad aspettarla e lei comunque lo venera (vedasi faccia da ebete nella scena finale). Decisamente più attivo il Principe Filippo de La Bella Addormentata nel Bosco che almeno combatte Malefica per arrivare dalla sua amata, qui il nome lo sapeva ma sbagliato e non ballano nemmeno una notte, ma giusto una canzone nel bosco… bah!

Lasciamo stare la Sirenetta che almeno nella versione Disney ha il suo lieto fine, ma nella fiaba originale, mamma mia che tristezza, e tutto per piacere ad un uomo (qui si capisce bene il senso del mio discorso del non cambiare le fiabe).

Grazie al cielo nel mondo Disney arriveranno personaggi femminile più intraprendenti che mostreranno come le donne possano contribuire attivamente alla costruzione del loro destino: Merida, Mulan, Tiana, Vaiana, Elsa e Anna, perfino Rapunzel!

Attenzione, perché se i puristi della Disney fanno a gara a chi disdegna di più i remake dei grandi classici, vi pongo un quesito: non può essere che con la scusa del live action si stiano andando a “svecchiare” le fiabe rendendole attuali? Un’operazione delicata in cui il significato può cambiare mantenendo però la struttura e il fine: l’apprendimento dei valori morali.

Carlotta Vagnoli scrive: “Non si tratta di cancellare le fiabe, ma accettare l’incompatibilità di alcune loro parti con la contemporaneità, favorendo una più profonda consapevolezza sociale e personale”.

Attaccare queste fiabe non porta a nulla. Prendiamole invece come spunto di analisi per un cambiamento. Soffermiamoci nella lettura del libro o nella visione del film e poniamo domande ai bambini come “Ti sembra giusto questo o quello?”

Vi assicuro che la loro risposta vi stupirà e, non meno importante, potrebbe accompagnarvi in un mondo senza pregiudizi e cattiveria.

A presto

Lady F.