Morte. Sdrammatizzare per uscirne Vivi

Contrariamente a quanto pensassi in molte persone si sono dimostrate interessate all’argomento trattato qualche giorno fa in una mia story su Instagram. Ho raccontato la mia folle idea di come voglio utilizzare il lotto di terra in Scozia che mi ha regalato mio marito al nostro anniversario (se non sai di cosa sto parlando clicca QUI e leggi il mio articolo su come diventare Lord o Lady scozzese). Ho confessato di volerne fare la mia tomba. Non solo voglio essere seppellita lì, ma ho intenzione di diventare un bellissimo albero su cui i miei nipoti e le generazioni future potranno arrampicarsi e sentirsi sempre in relazione con me. Tutto questo sarà possibile grazie all’idea di un designer spagnolo, Martin Azua, che ha progettato un’urna biodegradabile in grado di agevolare la restituzione delle ceneri alla Terra. Da esse potrà nascere in seguito un albero. Una sorta di rinascita. Sì perché all’interno dell’urna sarà possibile inserire il seme di un albero a scelta, a seconda del luogo che si sceglierà per la sepoltura.

Foresta di Betulle

Io ad esempio vorrei tanto rinascere BETULLA, per due motivi: il primo perché ho sempre adorato questa pianta, elegante nel suo tronco bianco, il legno in passato era associato ad alcune credenze magiche. Chiamata “Signora delle foreste”, la betulla era considerata dai certi un simbolo di nuovo inizio, di tenacia e perseveranza. E ancora era d’uso dopo il solstizio d’inverno spazzare il pavimento con una scopa dal manico di betulla come gesto simbolico del cancellare il vecchio e prepararsi al nuovo. Questo è il motivo più poetico, il secondo motivo lo è decisamente meno: da una mia ricerca ho scoperto che la betulla e tra le piante di cui gran parte degli allergici soffre. Ecco, diciamo che mi piace l’idea di dar fastidio anche da morta

(risata in sottofondo)

Ma torniamo alla spiegazione dell’urna, l’involucro (denominato dal suo inventore Bios Urn) è costituito da materiali quali cellulosa, torba e gusci di noci di cocco. Questo garantisce la totale biodegradabilità. Il seme al suo interno una volta sepolta l’urna comincerò a germogliare crescendo fino a diventare l’albero scelto.

Bios Urn Human

All’estero questo tipo di rituale viene chiamato “green burials” , ovvero sepolture verdi. 

In Italia ogni cittadino, rendendo note le sue volontà tramite testamento, ha la possibilità di optare per cerimonia religiosa o laica, per sepoltura o cremazione e anche avere la possibilità di dispersione in natura.  Le opzioni possono variare a seconda delle regioni e dei comuni. La Società per la Cremazione (SoCrem) fornisce tutte le informazioni in merito.

Ma perché parlare di morte? 

Beh, diciamo che nella mia famiglia abbiamo sempre avuto quest’abitudine di parlare delle nostre varie sepolture.

Dopo la mia presa di posizione nel rapporto con “quello dei piani alti” (avvenuta durante la mia malattia), ho detto a mio padre (perché ovviamente do per scontato che lui sia highlander) che guai a lui se mi fa una cerimonia religiosa: io voglio una cerimonia semplice in cui a turno le persone che mi hanno voluto bene dicano due parole divertenti su di me e mi dedichino una canzone. Basta.

Ricordo poi ancora quando mia madre, durante un pranzo domenicale, venuta a sapere del repentino fidanzamento di un uomo dopo la morte della moglie, dice rivolta a mio padre: “Ah caro non pensare di fare il furbo. Quando toccherà a me mi farò cremare e la mia urna voglio sia messa sul tuo comodino così ti posso controllare!!!”. Inutile dire che questo ha scatenato l’ilarità generale.

Oppure mi sovviene quando, durante il mio periodo di malattia e prima di scoprire l’urna biodegradabile, dissi a mio marito che non volevo fare la fine della mia bisnonna, ovvero dover sopportare di essere nella stessa tomba con la sua seconda moglie e che piuttosto me ne sarei stata da sola!

Insomma forme di gelosia o credenze assurde che ovviamente perdono di significato quando si è realmente morti, ma su cui si può fantasticare e anche riderci su. Il tutto per sdrammatizzare. Sì perché a quanto pare quello che io e la mia famiglia facciamo da sempre, ovvero sdrammatizzare, sembra sia un meccanismo di difesa della nostra mente: una resilienza e capacità di reagire agli eventi traumatici e destabilizzanti. Ci sono proprio molti studi a riguardo e non solo. Questo metodo di elaborazione della morte ha addirittura un certo rilievo nel mondo social, pubblicitario, letterario e cinematografico.

Un esempio? 

“Il funerale strano” 

Un uomo una mattina esce di casa e per strada si ferma ad osservare uno strano funerale, con uno strano seguito, che si avvia al vicino cimitero. C’è una vettura funebre, nera, che apre il funerale, seguita ad una quindicina di metri da un’altra vettura funebre nera. Dietro la seconda vettura funebre c’è un uomo vestito di nero, da solo, che segue i feretri con un cane Pit Bull al guinzaglio. Appena dopo ci sono circa 200 uomini che seguono il corteo in fila indiana.

L’uomo cede alla curiosità e, con molto rispetto, si avvicina all’uomo col cane e gli chiede:
– Sono molto spiacente per la sua perdita, e capisco che è un brutto momento per disturbare, ma io non ho mai visto un funerale come questo. Che tipo di funerale è?

L’uomo in lutto comincia a spiegare:

– La prima carrozza funebre è per mia moglie.
– E che cosa le è successo?
– Il mio cane l’ha attaccata e l’ha uccisa.
– E chi c’è nella seconda carrozza?
– Mia suocera. Lei stava tentando di aiutare mia moglie, quando il cane si è girato ed ha attaccato anche lei.

Tra i due uomini trascorre qualche momento di silenzio intenso e pieno di comprensione.
Poi l’uomo chiede sommessamente:
– Posso avere il suo cane in prestito?
– Sì, ma si metta in fila!

Sì beh, un po’ sessista, ma sappiamo che sulle barzellette la parità non è menzionabile…

In ogni caso, questo tipo di ironia la troviamo anche sui social, ad esempio con il profilo Facebook de  “Il salone del lutto” e “Necrologika” in cui troviamo post e meme a tema ovviamente “morte”. Come dimenticare il film “Funeral Party” in cui intorno al funerale di un familiare si avvicendano scene di esilarante ironia (QUI il trailer se non ricordi il film del 2007). 

Arriviamo ora a chi ha fatto della dissociazione della morte un’arte pubblicitaria divenuta in breve tempo famosissima. Sto parlando della storica impresa di onoranze funebri “Taffo”. I suoi slogan su cartelloni pubblicitari in giro per Roma sono diventati virali dopo che alcune persone li hanno fotografati e postati sui vari social. Quel che colpisce di questi slogan non è solo l’ironia con cui viene trattata la morte e il servizio funerario, ma anche l’impegno di questa impresa nel farsi promotrici di messaggi importanti come per la prevenzione dell’AIDS, della violenza sulle donne, della discriminazione sessuale e la donazione di organi.

Non mancano poi slogan a tema come San Valentino, Natale, proposte di matrimonio e citazioni cinematografiche. Fino ad arrivare ad una proposta “green” o dovrei dire brillante (gioco di parole azzeccassimo): propongono di trasformare il vostro caro in un diamante da incastonare. Geniale direi, così come la campagna pubblicitaria inerente.

Insomma come potete notare non sono l’unica che sdrammatizza la sua possibile dipartita, tutto quello che vi ho illustrato (ed è solo la punta dell’iceberg che si può trovare in rete) dimostra che esiste addirittura un business che si basa su questo processo mentale. 

Citando Murakami nel suo “Kafka sulla spiaggia”:

Se tutti moriamo o ci perdiamo è perché il meccanismo del mondo si basa sull’estinzione e sulla perdita. Le esistenze di tutti noi non sono che immagini riflesse di questo principio. Il vento soffia. Ci sono venti impetuosi che spezzano via tutto, e venticelli leggeri che accarezzano. Ma ogni vento prima o poi si disperde e scompare

Spero di non aver turbato troppo la vostra sensibilità… e se siete scaramantici ecco qualcosa che vi allevierà la preoccupazione:

A presto

Lady fRa’

Bibliografia/Sitografia:

Maria I Tudor e il tumore dell’Ovaio

La regina Maria I in un ritratto di Anthonis Mor

Il 17 novembre 1558 il sanguinoso e breve regno di Maria I, figlia di Enrico VIII e Caterina D’Aragona, termina bruscamente con la morte della regina.

La salute di Maria era stata cagionevole fin da bambina, eppure era riuscita a sopravvivere e, dopo non poche tribolazioni (di cui vi parlo nel mio podcast), a diventare regina d’Inghilterra.

Ma a quanto pare le sofferenze per questa donna non sono destinate a terminare. Ecco quindi che allo stress derivante dalla missione che si era prefissata, ovvero « il totale ripristino della religione cattolica sul suolo inglese», si unisce anche il disagio per un marito fedifrago e glaciale e il dolore e l’umiliazione di false gravidanze che saranno invece sintomi di una malattia molto grave.

Nel 1557, nei mesi successivi all’ultima visita del marito, Filippo II di Spagna, «il suo ventre era visibilmente gonfio e Maria si illuse di essere incinta. Il solo frutto che tuttavia la regina portava in grembo era un tumore» (A. Accorsi e D. Ferro, Le famiglie più malvagie della storia, Newton Compton Editori, Roma, 2013, p. 239.)

Proprio così.

Fonti raccolte dicono che abbia sofferto molto, sia nel corpo che psicologicamente. Anche se la sua morte coincide con sintomi dell’epidemia d’influenza presente in Inghilterra in quel periodo ed a questa malattia è stata spesso associata, sembra invece che ciò che ha ucciso la regina siano state cisti ovariche, o una qualche forma di cancro alle ovaie. I sintomi di questa malattia sono talmente generici che ancora oggi si fatica ad individuarli senza un attento e periodico controllo medico.

Controllo, ma soprattutto informazioni che attualmente noi possiamo avere:

Associazione Italiano per la Ricerca sul Cancro

Io ho vissuto l’esperienza di un tumore al seno e se oggi sono ancora qui a scrivervi lo devo in primis alla PREVENZIONE. Quindi mai come ora invito tutti ad ascoltare il proprio corpo. Prendetevene cura, perché nulla dev’essere dato per scontato.

Guardate la povera Maria I: ha lottato una vita intera per essere riconosciuta come regina d’Inghilterra, ma soprattutto degna erede di Isabella di Castiglia. E alla fine a fermarla non è stato un complotto alla corona, nemmeno un nemico straniero. No, ha dovuto cedere a qualcosa di inarrestabile, subdolo, che miete vittime nel XXI secolo così come silenziosamente ne faceva nei secoli scorsi.