Tampon Tax. Le Donne, il ciclo mestruale nei secoli e il concetto di “bene di lusso”

Sono passati mesi da quando la Scozia, la mia amata Scozia, ha segnato l’inizio di un cambiamento che noi donne aspettavamo da anni: la riduzione dell’IVA sui prodotti sanitari ed igienici femminili. Una battaglia che sembra non avere ancora fine perché malgrado l’esempio della maggior parte dei paesi europei come Spagna, Francia, Regno Unito, Belgio, Olanda, Irlanda e per ultima anche la Germania, l’Italia sembra (come al solito) rimanere indietro. Giusto per darci un contentino hanno abbassato l’IVA, solitamente al 22%, al 4% durante la settimana della festa della Donna e secondo molti avremmo dovuto anche ringraziare. A mio parere è stata solo una grande presa in giro. Ci rendiamo conto che occupiamo la 23° posto tra i 28 stati appartenenti all’Unione Europea?

Un piccolo spiraglio sembra arrivare da Firenze. Già culla del rinascimento, il capoluogo toscano sembra voler essere nuovamente un faro per tutta la penisola: è infatti la prima città a non far pagare più la “tampon tax”, ma c’è l’esigenza di avere una risposta rapida e chiara dal Governo che dirotta le risorse a causa dell’emergenza COVID. Fino al 31 marzo 2022 quindi nelle farmacie fiorentine gli assorbenti non avranno più applicata l’IVA al 22%.

“L’eco che stiamo ricevendo è di gran lunga maggiore a quello che ci aspettavamo. È la dimostrazione che l’abolizione della tampon tax non è solo un diritto delle donne, ma un principio di equità sociale” queste le parole di Dario Nardella, sindaco della città fiorentina.

Il problema sembra legato al fatto che gli assorbenti e tutti i dispositivi sanitari ed igienici per le donne vengono considerati un bene di lusso. Facciamo chiarezza, Wikipedia offre questa definizione di bene di lusso:

“Il bene di lusso si riferisce a un bene di consumo superfluo e che rappresenta una spesa eccessiva rispetto alle possibilità economiche di qualcuno. I beni di lusso sono spesso oggetto di ammirazione e desiderio e il loro valore di scambio è molto elevato”. Praticamente allo stesso livello di orologi, auto, borse e scarpe griffate.

  1. Gli assorbenti non sono un lusso ma una necessità
  2. Gli assorbenti non sono un bene superfluo
  3. Non penso siano oggetto di ammirazione (anzi) e men che meno hanno un valore di scambio

Ed è qui che subentra l’aggancio che voglio fare a questo tema. Forse capire come siano nati gli assorbenti e come affrontassero il ciclo mestruale le donne nella storia, offrirà una nuova prospettiva a chi afferma che si debba imporre su questi dispositivi igienici una tassa di lusso.

Gli assorbenti a cui siamo abituati, quelli usa-e-getta pubblicizzati in televisione, radio, e giornali sono un’invenzione recente, risale infatti alla fine del IX secolo perfezionata poi nel secolo successivo, ma come affrontavano le donne il flusso mestruale nei secoli precedenti? Quali tabù erano legati alle mestruazioni?

Questa cosa mi ha incuriosito quando ho letto il libro “La grande avventura dei diritti delle donne” di Soledad Bravi e Dorothée Werner in cui, attraverso vignette tanto divertenti quanto graffianti, hanno mostrato la realtà femminile dalla preistoria ad oggi. In particolare sono rimasta colpita del capitolo dedicato alla Caccia alle Streghe in cui si sottolinea come le mestruazioni considerate fino a quel momento (XV secolo circa) segno di fecondità, diventano invece la prova della maledizione divina arrivando a supporre che le donne che soffrivano di un ciclo doloroso fossero possedute dal demonio, accusate di stregoneria vengono esiliate o mandate al rogo. Si contano circa 100 mila vittime. Cosa porta tutto questo? A dover nascondere il più possibile la perdita di sangue.

Davvero interessante scoprire quali fossero le tecniche utilizzate.

Considerato che per secoli non esisteva nulla di simile alle mutande a cui poter agganciare gli assorbenti esterni, all’alba dei tempi le donne utilizzavano una forma arcaica del tampone interno con i più svariati materiali: in Egitto usavano il papiro ammorbidito o il lino. A Sparta e Atene si erano ingegniate avvolgendo delle garze attorno a piccoli pezzi di legno per favorire l’inserimento.

Con l’Impero Romano si cominciano ad usare bende di lana agganciate alle cinture delle vesti.

Il Medioevo e il successivo periodo di caccia alle streghe e Inquisizione come detto ha segnato l’inizio del tabù sulle mestruazioni e questi giorni venivano affrontati in gran segreto. Le popolane si adeguavano ancora con i metodi antichi, mentre le donne di ceto elevato avevano cominciato ad utilizzare sotto le vesti delle culotte o dei pantaloncini che servivano a contenere l’assorbente di cotone oppure di un particolare tipo di muschio da una forte azione assorbente utile soprattutto in caso di emorragie.

Particolarità: il ciclo mestruale era diverso rispetto a quello a cui siamo abituate oggi. Era irregolare e si presentava sporadicamente, questo a causa di alimentazioni povere, e condizioni di vita difficili. Inoltre, in età fertile le donne affrontavano una gravidanza dietro l’altra e la menopausa arrivava molto presto.

Altra particolarità interessante è quella che il colore predominante nel guardaroba femminile era il rosso, questo perché permetteva di mimetizzare le eventuali macchie di sangue mestruale.

Il Rinascimento ha mantenuto il tabù verso le mestruazioni e le donne si sono inventate di tutto per far sì che il flusso non macchiasse: pezzi di cotone, lana, spugne, muschi e pelli animali. Se teniamo presente poi che nel XVII secolo è cominciata a girare la credenza che lavare la biancheria portasse malattia, possiamo immaginare quanto fastidiosi potessero diventare gli odori corporei. E quindi via di profumi a litri!

Come detto gli assorbenti “moderni” sono nati alla fine del XIX secolo, ma non hanno avuto subito successo: le donne si vergognavano a comprarli continuando così ad utilizzare quelli lavabili che tenevano legati con spille da balia o cordini e lavandoli e rilavandoli.

Ci è voluta la Prima Guerra Mondiale e le infermiere per cambiare il materiale assorbente, si scopre infatti il Cellucotton utilizzato negli ospedali da campo per bloccare le emorragie.

I ruggenti anni ’20 ci portano il KOTEX, un materiale più conveniente rispetto al Cellucotton, ma soprattutto l’idea delle case produttrici di esporre gli assorbenti negli scaffali, senza per forza doverli richiedere ai commessi per la maggior parte uomini. È la svolta. Insieme alla diffusione di biancheria intima sempre più sgambata che permette all’assorbente di rimanere più facilmente in posizione negli anni ’70 arriva in aiuto anche la striscia adesiva.

Se però ancora molte donne rimanevano scettiche sul concetto di usa-e-getta in quanto sembrava uno spreco di denaro, i cambiamenti sociali che hanno portato le donne ad uscire di più di casa, a lavorare e fare esercizio fisico ha agevolato la vendita di questi nuovi prodotti che non portavano via tempo impiegato in altro.

Dopo questa serie di curiosità sulla storia di come le donne hanno affrontato il loro ciclo mestruale nei secoli, davvero si può ancora pensare che un assorbente sia un bene di lusso da pagare con l’IVA al 22%?

Beh, chi non afferma il contrario meriterebbe di camminare una settimana con un legnetto avvolto da una garza nel…

Lascio finire a voi!

Lady F.

Artemisia Gentileschi. Una donna, una violenza e una società che non è ancora cambiata!

L’unica donna in Italia che abbia mai saputo che cosa sia pittura, e colore, e impasto, e simili essenzialità. (Roberto Longhi)

Artemisia Gentileschi (QUI il mio episodio PodCast) è stata una delle prime pittrici (o pittora) di cui si è parlato. Un’icona del femminismo, ma soprattutto una donna messa alla prova dalla vita. La brutale esperienza di stupro, le torture fisiche e psicologiche che ha subìto non l’hanno fermata, piegata forse, ma non spezzata. Artemisia è andata avanti e ha trasportato nell’arte il suo dolore, la sua voglia di riscatto e la sua rivoluzionaria rappresentazione della donna, conquistandosi un posto d’onore nella storia come pittrice e come donna.

La vita di Artemisia mi spinge a fare una riflessione perché, se ci soffermiamo a pensare, oltre a lasciarci una meravigliosa eredità artistica, la sua esperienza ci offre l’opportunità di sensibilizzare la società verso le vittime di stupro. Ci troviamo infatti davanti ad uno specchio che mostra quello che ancora oggi le donne devono subire.

Se una donna denuncia una violenza, e dico “se” e non “quando” perché purtroppo si denuncia ancora troppo poco, quello che subisce è una vera e propria gogna psicologica (e mediatica). Viene sommersa da domande irriverenti, fuori luogo, zeppe di preconcetti che sono ancora radicati nel pensiero comune. Come se non fosse già difficile rivivere più e più volte il trauma subìto, devono sentirsi chiedere “Com’eri vestita? Perché eri in quel luogo a quell’ora?” oppure ancora “Cosa hai fatto per istigarlo?”. Le testate giornalistiche poi non sono da meno offrendo una narrazione che spesso (troppo) cerca una giustificazione per il carnefice sottintendendo una qualche colpa della vittima, facendola sentire sporca e quasi obbligata a vergognarsi.

Artemisia è stata letteralmente torturata durante il processo avviato dopo la denuncia di suo padre contro il pittore Agostino Tassi, suo maestro. Viene sottoposta a numerose visite ginecologiche, il suo corpo è esposto alla curiosità morbosa della società costantemente aggiornata da un notaio che prendeva atto di tutta la vicenda. Decretano infine che l’imene della donna è stato lacerato tempo addietro confermando così lo stupro. Ma non contenti, le autorità giudiziarie vogliono un’ulteriore conferma e sottopongono quindi Artemisia ad un interrogatorio con il supplizio della “sibilla”, ovvero legano i pollici con delle cordicelle sottili che con l’ausilio di una specie di manganello vengono girate intorno alle dita stritolando le falangi. Oltre al dolore fisico oggettivo, bisogna pensare quanto questa tortura avrebbe inciso sulla carriera di pittrice della donna. Artemisia non cede, confermando sempre la sua deposizione e nel 1612 le autorità condannano Agostino Tassi che però non pagherà mai del tutto la sua pena grazie al supporto dei suoi potenti committenti. Chi pagherà di più tutta questa faccenda sarà invece Artemisia che vede la sua reputazione minata. “Una puttana bugiarda che va a letto con tutti” ecco ciò che si dice di lei tra le strade di Roma.

Stiamo parlando del XVII secolo. Ma quanto di ciò che ha vissuto Artemisia si allontana da vicende di cui sentiamo parlare ancora nel 2020?

Prendiamo per esempio il caso Genovese. Ciò che si è letto sono state cose come “era un pilastro dell’economia!”, “Un uomo di successo”, “Grande lavoratore!”. Ecco, una premessa narratoria che si focalizza sul “presunto” colpevole (vedremo come andrà il processo) cercando di valorizzare i suoi lati postivi. Le parole verso la vittima invece sono tutt’altro che lusinghiera. Tra tutti gli articoli scritti a riguardo, cito quello di Vittorio Feltri in cui l’illustre giornalista, famoso per essere quello sempre controcorrente, ovviamente non giustifica l’imprenditore, ma cade in una vecchia (antica direi) idea prettamente maschile in cui una donna se viene violentata è perché in un qualche modo se l’è andata a cercare. Feltri scrive sostanzialmente che la ragazza, se ha accettato di andare al festino nella villa dell’imprenditore, e se ha accettato di entrare nella sua camera da letto, doveva sapere che poi si dovevano calare le mutandine.

Ma davvero? E io che pensavo che una ragazza (donna, o chiunque) potesse decidere di fare sesso solo ed esclusivamente quando vuole farlo!!!

Uscire con una persona, magari entrare anche in casa sua, essere vestita in modo provocante, non sono cose che dovrebbero sottintendere “Fai tutto quello che vuoi con me!”; eppure in molti lo credono. Soprattutto la società, ancora troppo legata a preconcetti sessisti, giudica con questi parametri.

Quindi ecco che la ragazza violentata dovrebbe assumersi metà della colpa perché, sintetizzando, la colpa di Genovese è quella di condurre una vita da “depravato”, di essere un drogato e consumatore di cocaina e forse alcolizzato. Ecco che allora si vuole intendere che un soggetto così non poteva fare altro che violentare una ragazza. Quindi la colpa non è dell’uomo, ma del suo tenore di vita! Vedete come si dissocia la colpa dalla persona? Ma non è così e non dev’essere così.

Niente deve giustificare una violenza. L’uso della droga non può in alcun modo essere una giustificazione o un’attenuante. Ma neppure una aggravante. Allontaniamo il moralismo e focalizziamoci sul cambiamento.

Impariamo ad utilizzare una narrazione meno sessista e più inclusiva in cui uomini e donne non subiscano discriminazioni. Dove non esiste genere, ma solo umanità.

Non permettiamo che il XVII secolo di Artemisia e le sue torture continuino a mutilare le donne di oggi… e del futuro.

fRa’

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Benvenuti nel restyle del mio sito!

Mi sento come se avessi ristrutturato casa e avessi voglia di invitarvi tutti a vederla!

Prego signori, entrate pure! Ho fatto le pulizie, ho riordinato tutto e ora sono pronta a ricevere i miei ospiti.

Come nei migliori restauri, mi sono affidata ad una squadra davvero speciale, paziente e comprensiva. La scelta dell’ “architetto” è andata senza indugi verso la mia social guru Valeria Crivellari, meglio conosciuta come Mama Non Mama che in una mattinata mi ha arricchita di un’infinità di nozioni per me davvero illuminanti (ammetto di essermi sentita più volte come mia madre quando durante le mie spiegazioni di qualche funzione del suo smartphone…). Mi ha aperto un mondo che spero di riuscire ad approfondire imparandone tutte le potenzialità. A fare la cosiddetta manovalanza è venuto in mio soccorso mio marito Matteo, reduce anche lui dell’avvio di un suo blog molto tecnico (su sviluppi di nuovi modelli di business) e quindi fresco di capacità tecniche di creazione di siti. Tutto questo unito alla mia insonnia cronica che ho sfruttato per mettere in pratica ciò che Valeria mi ha insegnato, et voilà: ecco il mio nuovo sito.

Venite, vi faccio fare il giro della casa!

Nell’atrio troverete tutti i miei articoli, dal più recente fino al più vecchio che risale ormai a marzo 2017 (se volete fare più velocemente potete vedere l’archivio sulla destra).

Il corridoio principale vi permette di entrare in tutte le “stanze”. C’è ABOUT ME dove mi presento raccontandovi la mia formazione e le mie passioni. Qui troverete anche una piccola nicchia in cui vi racconto l’esperienza che ho vissuto durante la mia battaglia contro un tumore al seno. Niente di strappalacrime e che cerca compatimento, state tranquilli, semplicemente una condivisione che spero possa aiutare chi si trova nel bel mezzo della battaglia ma anche chi gli è vicino.

Proseguendo per la mia nuova casa troverete la presentazione del mio primo romanzo “Io. Anna” e anche del mio progetto di farne una trilogia.

L’ultima stanza, “Pillole di…” racchiude invece due mie rubriche:

  • “A SPASSO CON I TUDOR”. VIDEO. Nata da poco per caso, sembra piacere molto. Racchiude video in cui racconto di personaggi della casata dei Tudor o che ne hanno a che fare
  • “Storie di Donne nella Storia”. PODCAST. Per ora troverete solo la presentazione del progetto, ma presto sarà pronta il primo episodio. Qui narrerò le vicende di donne importanti per la storia che però spesso sono state nell’ombra.

Ecco, il giro per ora finisce qui.

Spero che la mia casa vi piaccia e sarei davvero felice se mi veniste a trovare spesso. La porta è sempre aperta e troverete sempre qualcosa ad accogliervi.

A presto

fRa’